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venerdì 31 luglio 2020


Né ossi, né lische, né sangue – Gli insetti cibo del futuro?


Nel 2050 saremo più di 9 miliardi di persone, vivremo su un pianeta con risorse sempre più scarse, meno terre coltivabili a disposizione, inquinamento delle acque, deforestazioni provocate dal pascolo e surriscaldamento del clima globale. Come far fronte a una tale situazione, senza contare che già attualmente 800 milioni di persone soffrono la fame? Gli insetti sono una delle possibili risposte che da qualche tempo circolano fra gli esperti alimentaristi e nutrizionisti di tutto il mondo. Al di là delle (doverose) riflessioni sulla food equity e lo spreco alimentare, secondo la FAO più di 2 miliardi di persone fanno già uso di insetti per fini alimentari e le specie commestibili in commercio sono oltre 1.900.
Un primo assaggio di insetti è già stato fatto anche in Italia. Nel padiglione belga dell’Expo del 2015, infatti, oltre ad essere offerta birra caratteristica, si mangiavano anche prodotti a base di insetti. Le imprenditrici belghe Sophie e Géraldine Goffard hanno portato in Italia pasta fresca e paté a base di Tenebrio Molitor (tarma della farina). Ma non sono le sole: la compagnia belga Green Kow, infatti, è stata la prima in Europa ad offrire prodotti contenenti insetti da distribuire nei negozi. Anche in Francia ci sono degli store online come Insectes comesitbles e La boutique insolite che offrono snack a base di insetto. Il maggior ostacolo da superare nel consumo di insetti è il pregiudizio culturale. In Olanda è stato fatto uno studio sul pregiudizio dell’informazioni che caratterizza il consumatore europeo nei confronti degli insetti. Dalla ricerca è emerso che il tabù e il disgusto sono due componenti molto importanti, ma anche il fattore comunicativo è di fondamentale importanza nella considerazione degli insetti come alimento. Nel mondo si consumano più di 1.900 specie di insetti, quelli più comunemente usati come cibo sono:

coleotteri (31%);
lepidotteri (bruchi, 18%);
api, vespe e formiche (imenotteri, 14%),
cavallette, locuste e grilli (Ortotteri, 13%);
cicale, cicaline, cocciniglie e cimici (Emitteri, 10%);
termiti (Isotteri, 3%);
libellule (Odonati, 3%);
mosche (Ditteri 2%).

Vantaggi nutrizionali, ambientali e criticità

I criteri di introduzione delle specie edibili in Europa saranno definiti a partire dalle liste già compilate da alcuni Stati membri, e sulla base degli insetti di cui è più facile dimostrare il consumo tradizionale in Paesi terzi. Probabilmente grilli, cavallette e tarme delle farina saranno tra le prime specie a comparire sulle nostre tavole. Ecco il parere dell'Efsa di Parma:

“Il presente parere ha il formato di un profilo di rischio e presenta potenziali pericoli biologici e chimici, nonché allergenicità e pericoli ambientali associati a insetti di allevamento utilizzati come alimenti e mangimi tenendo conto dell'intera catena, dall'agricoltura al prodotto finale. Il parere affronta anche la presenza di questi pericoli negli insetti non trasformati, coltivati ​​su diverse categorie di substrato, rispetto alla presenza di questi pericoli in altre fonti non trasformate di proteine ​​di origine animale. Quando le materie prime per mangimi attualmente autorizzate sono utilizzate come substrato per nutrire gli insetti, si prevede che la possibile presenza di pericoli microbiologici sia paragonabile alla loro presenza in altre fonti non trasformate di proteine ​​di origine animale. La possibile presenza di prioni negli insetti non trasformati dipenderà dal fatto che il substrato includa proteine ​​di origine umana o di ruminanti. I dati sul trasferimento di contaminanti chimici da substrati diversi agli insetti sono molto limitati. Vengono considerati anche substrati come i rifiuti di cucina, il letame umano e animale e i rischi derivanti dagli insetti nutriti su questi substrati devono essere valutati in modo specifico. Si è concluso che per i pericoli sia biologici che chimici, i metodi di produzione specifici, il substrato utilizzato, lo stadio del raccolto, le specie di insetti e lo stadio di sviluppo, nonché i metodi per l'ulteriore elaborazione avranno tutti un impatto sull'occorrenza e sui livelli di contaminanti biologici e chimici negli alimenti e nei mangimi derivati ​​da insetti. I pericoli legati all'ambiente dovrebbero essere paragonabili ad altri sistemi di produzione animale. Il parere identifica anche le incertezze (mancanza di conoscenza) relative ai possibili pericoli quando gli insetti vengono utilizzati come alimenti e mangimi e rileva che non vi sono dati raccolti sistematicamente sul consumo animale e umano di insetti. Gli studi sulla presenza di agenti patogeni microbici dei vertebrati e i dati pubblicati su sostanze chimiche pericolose negli insetti allevati sono scarsi. Ulteriore generazione di dati su questi temi è altamente raccomandata. Gli studi sulla presenza di agenti patogeni microbici dei vertebrati e i dati pubblicati su sostanze chimiche pericolose negli insetti allevati sono scarsi. Ulteriore generazione di dati su questi temi è altamente raccomandata. Gli studi sulla presenza di agenti patogeni microbici dei vertebrati e i dati pubblicati su sostanze chimiche pericolose negli insetti allevati sono scarsi. Ulteriore generazione di dati su questi temi è altamente raccomandata”.

Abbiamo analizzato due tesi di laurea sull'argomento con due approcci diversi, ecco le conclusioni:

Tesi di Laurea - Simone Belluco: Insetti per uso alimentare umano: aspetti nutrizionali e igienico-sanitari Anno accademico 2008-2009 - Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova

“Le cariche microbiche totali e di Coliformi sono piuttosto elevate, così come quelle di altri batteri potenzialmente alteranti o patogeni, tuttavia laddove la tipologia di allevamento cambia (come nel caso del baco da seta) garantendo manipolazioni e standard igienici elevati, le cariche si riducono a livelli che potrebbero essere facilmente controllati da procedimenti quali la cottura. L’analisi nutrizionale ha mostrato valori che confermano la possibilità di utilizzo degli insetti come fonte proteica alternativa ad allevamenti poco sostenibili o non sufficienti in aree aride, povere o densamente popolate. La composizione nutrizionale si mostra variabile in relazione alla specie, allo stadio, al trattamento e all'alimentazione. Le specie analizzate presentano contenuti lipidici abbastanza elevati con prevalenza di acidi grassi insaturi, e contenuti di fibra e carboidrati non eccessivi. In particolare, le analisi su Bombyx mori a vari stadi di sviluppo danno ragione del suo utilizzo nella forma di crisalide o adulto, compatibilmente con la produzione della seta, e lo rendono un prodotto a costo zero con valide caratteristiche nutrizionali. Sicuramente l’inserimento degli insetti nella dieta umana deve prevedere ulteriori valutazioni microbiologiche e tossicologiche. L’osservazione delle abitudini di molte popolazioni, tuttavia, è da considerarsi come orientamento valido e la perdita del sapere tradizionale, spesso tramandato per via orale, dovuta alla globalizzazione di usi e costumi rappresenta un passo indietro su questo fronte”.

Tesi di Laurea - Sara Tesi: Insetti come alimento del futuro, sostenibilità e sicurezza alimentare: i risultati della nostra indagine microbiologica. Anno Accademico 2015-2016 corso in Tecniche della Prevenzione nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro. Università degli Studi di Firenze

“Al momento non sembra che questa nuova tipologia di alimentazione abbia riscosso un enorme successo, dall'indagine di gradimento effettuata, infatti, si riscontra che solo il 35% dei soggetti intervistati sarebbe disposto a mangiare un insetto, con una netta prevalenza degli uomini rispetto alle donne (60%). Inoltre, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di non voler nemmeno provare ad assaggiarli a causa del disgusto che prova alla sola vista. Ponendo uno sguardo verso il futuro, coloro che pensano che gli insetti potrebbero entrare a far parte della nostra cultura alimentare sono solo il 24% contro il 58%, mentre una piccola percentuale (2%) ha dichiarato che potrebbero diventare un’eventuale alternativa culinaria etnica. Data la disponibilità non solo di insetti ma anche di prodotti a base di insetto, presenti attualmente nel mercato europeo, è necessario che venga emanata una normativa che definisca le modalità di allevamento, produzione, vendita, commercializzazione e i requisiti chimici e microbiologici che devono essere rispettati durante tutta la catena alimentare, al fine di garantire la sicurezza del prodotto. Affinché ciò sia possibile è necessario, inoltre, effettuare nuovi studi che possano dare delle certezze scientifiche per quanto riguarda l’igienicità dei prodotti destinati all'alimentazione, in quanto l’obiettivo principale da realizzare è la tutela del consumatore attraverso la sicurezza alimentare. Il percorso di avvicinamento a questo nuovo tipo di alimento è sicuramente difficoltoso e lungo per la presenza di una cultura alimentare ben radicata nel territorio. Occorre quindi sviluppare una maggiore conoscenza e coscienza verso le problematiche ambientali che non sono limitate solo ai confini delle nazioni, ma riguardano l’intero pianeta nel quale viviamo”.

Al di là di valutazioni personali, credo che gli aspetti da misurare siano molteplici: va da sé che per miliardi di persone gli insetti siano parte importante della loro dieta e della loro tradizione gastronomica; che gli insetti possano risolvere i problemi legati alla scarsità di cibo è dubbio, perché allora non avremmo quei problemi di sottoalimentazione, suona un po' come la famosa “rivoluzione verde” che doveva cancellare la fame nel mondo ma di fatto ha permesso di arricchirsi coloro che si sono dedicati alla coltura e all'allevamento intensivi (leggi grandi gruppi multinazionali), anche in questo caso (per gli insetti) stanno avanzando proposte Unilever, Pepsi e altri colossi dell’agroalimentare; un aspetto interessante e remunerativo potrebbe essere il mondo dei mangimi ecco il parere di Laura Grasso dell’Università di Torino riportato da Slow Food:

«Al di là dei ritardi sulle autorizzazioni per entrare nel mercato della mangimistica occorre produrre grandi quantità. I piccoli allevatori dovrebbero unire le forze e fare rete». Insomma, anche in questo campo il rischio è che il grande pesce fagociti il piccolo, con buona pace delle economie locali e del sostentamento della piccola scala. Oppure si potrebbe fare in modo di sostenere queste reti e non lasciare campo solo ai giganti multinazionali. Perché i vantaggi nell'usare gli insetti in questo campo sono molti: i prodotti concorrenti sono, la farina di pesce (e non ci stanchiamo di ripetere quanto sia poco efficiente allevare ad esempio salmoni considerato che ogni Kg di salmone allevato servono 5 Kg di pesce) e la soia quasi tutta geneticamente modificata ma assai conveniente: «I vantaggi nell'utilizzo degli insetti sono sia sulla sostenibilità ambientale ma anche per il migliore contenuto proteico rispetto per esempio alla soia. Oggi però si sta anche lavorando molto su alcune proprietà degli insetti con una valenza sul sistema immunitario visto che il prezzo delle loro farine non è ancora competitivo si ha un pesce più forte e reattivo allo stress e che richiede dunque meno antibiotici».

In conclusione, attenzione al rispetto delle tradizioni locali, le loro ma anche le nostre; massima attenzione ai problemi di sicurezza alimentare, senza preclusioni né disgusti laddove sia interessante l’approccio a nuove abitudini gastronomiche, molti chef ci stanno provando. Dopotutto il casu marzu dei sardi, il nostro formaggio con i vermi e la lombarda zuppa di maggiolini stanno lì a dimostrare che siamo in un campo aperto.







venerdì 24 luglio 2020

Economia domestica

Molti storceranno il naso di fronte a questa proposta, ma se seguiranno il ragionamento forse ne uscirà qualcosa di utile per tutti. Ripristiniamo, nelle scuole l’economia domestica e l’educazione civica. Non sto dando di matto, ma a fronte di un degrado nel comportamento sociale, del linguaggio e del consumo di cibo e altri beni è urgente correre ai ripari. Questo secolo “superbo e sciocco” come lo ha definito Carlo Petrini, ha prodotto uno scivolamento verso attività secondarie e terziarie e abbandonato completamente le abilità manuali. Un Paese come la Svezia (che di fronte al Covid-19 si è comportato da irresponsabile) da qualche anno ha reintrodotto nelle scuole medie l’economia domestica, non quella che abbiamo conosciuto nel secolo scorso dalle suore, il cucito, l’obbedienza cieca, il galateo, ma una visione moderna che crea piccoli consumatori (maschi e femmine) capaci di organizzare la vita domestica quotidiana. Non più quindi lezioni di uncinetto, di punto chiacchierino ma la formazione di persone consapevoli e attente negli acquisti. 

La capacità di acquistare, far funzionare e giudicare un elettrodomestico è un modo di evitare fregature e frenare comportamenti illegittimi di aziende che vorrebbero rendere obsoleti elettrodomestici ancora in grado di funzionare per anni. Imparare a tenere in ordine la casa significa risparmio sicuro. Sapere come igienizzare la propria abitazione è un risparmio in termini di salute. Conoscere le proprietà nutrizionali degli alimenti, la loro provenienza, saperli trasformare in cibo buono e salutare, è fondamentale per la loro crescita e di coloro che vivranno con loro una volta raggiunta l’età matura. Quindi ragazzi e ragazze che di fronte all'organizzazione di una famiglia sanno muoversi consapevolmente, sanno lavare le stoviglie con la macchina o a mano, sanno fare le pulizie, sono in grado di fare la spesa e di cucinare. Questi ragazzi e ragazze nei confronti dei loro coetanei europei avranno una marcia in più e saranno, se lo vorranno, pronti a uscire di casa e formarsi una loro famiglia molto presto. Anche l’educazione civica è molto importante per formare cittadini rispettosi delle regole, delle cose e delle persone. Anche però cittadini con capacità critiche e in grado di scegliere a chi concedere le deleghe politiche, e capaci, allo stesso tempo, di far valere i propri diritti. Non può mancare in questi programmi la gestione del bilancio familiare, si andrà quindi oltre la “paghetta” e si potrà imparare a risparmiare o investire, acquistare e non sprecare. Ecco un possibile programma:

Economia domestica: 
Il budget casalingo, come impostarlo e tenere i conti in ordine 
Tutti i modi per spendere meno, acquisti via internet, Gruppi di Acquisto Solidale, Km 0 
Gestire al meglio la spesa, negozi sotto casa, supermercati, mercati contadini

Lavoro domestico: 
Le regole di base per avere una casa ordinata
I consigli per riporre adeguatamente i vestiti nell'armadio
Come effettuare in modo rapido ed efficace il cambio di stagione
Riordinare i giocattoli dei bambini: strategie salva-tempo
Come mettere in ordine il frigorifero e sistemare la spesa in dispensa
Far ordine in cucina imparando a riporre piatti, pentole e bicchieri nella maniera corretta

Economia Verde e Sostenibile:
Indurre comportamenti virtuosi nei confronti della natura
Scegliere le piante per orto e giardino

Zero spreco in cucina e in casa:
L’arte del riuso e la gestione degli avanzi di cibo
La raccolta differenziata
Trasporto sostenibile pubblico e privato come: car sharing e car pooling

Gestire il denaro: 
Home banking, spesa a km 0, finanza etica, banca etica, mercato equo e solidale

Quello che si propone dunque è una innovazione sociale che implica un nuovo modo di pensare e di agire di tutta la collettività, intesa come Istituzioni, aziende, famiglie e individui. In un mondo dove ci hanno insegnato che i migliori traguardi si ottengono tramite l’individualismo e la competizione, oggi la situazione inizia a cambiare, si parla di comunità, di collaborazione, di unione. La collaborazione è un grande atto rivoluzionario, perché essa è difficile da gestire. Ascoltare le persone e confrontarsi a volte è impensabile, cercare insieme delle soluzioni diventa pesante e stancante, ma se insieme si discute, si lavora, si può agire e trovare davvero delle soluzioni reali ai problemi della collettività. Dietro l’innovazione sociale non bisogna dimenticare che ci sono persone che attivano una serie di processi, pratiche, attività che rispondono ai bisogni della società che non sono ancora stati soddisfatti e di cui i governi non si fanno carico. Si crea così valore dalla comunità e per la comunità. La nuova economia domestica si è evoluta con la famiglia, e assume una nuova veste. Nell'accezione moderna rappresenta il modo più efficiente per gestire e organizzare al meglio tutte le attività domestiche, famigliari e sociali. L’innovazione sociale, ossia il cambiamento, sta proprio nell'individuare i diversi modi in cui viene gestita la famiglia all'interno delle mura domestiche e fuori da esse, in base ai problemi sociali ed economici che oggi si trovano ad affrontare. Quindi ben venga una scuola che insegni ai nostri ragazzi, insisto maschi e femmine, ad affrontare i problemi quotidiani in modo efficace e virtuoso. Il consumatore di domani deve sapere di avere un potere economico nelle sue mani: scegliere un prodotto anziché un altro determina spostamenti economici e scelte aziendali non indifferenti, se non si consumasse più junk food il cosiddetto cibo spazzatura ne guadagnerebbe la salute e obbligherebbe le aziende a rinnovarsi. Le iniziative politiche che propone oggi la Gran Bretagna vanno in quella direzione dopo che un grande gruppo di medici ha sentenziato che il Covid-19 è favorito dalla obesità delle persone. Ben venga dunque una nuova economia domestica e una educazione civica per formare l’uomo e la donna di domani. Pena un arretramento sociale e culturale di cui non abbiamo bisogno.























sabato 18 luglio 2020



I Musei del Cibo 

  
   In questi tempi di vacanza, spero per molti, è interessante, primo: visitare l’Italia che ha innumerevoli borghi di una bellezza straordinaria disseminati anche al di fuori delle direttrici turistiche in regioni poco frequentate come il Molise o la Basilicata che invece, hanno dei bellissimi luoghi dove passare le vacanze tra il mare e la montagna. Poi, è quello che racconteremo oggi un mondo quasi sconosciuto, eppure l’Italia ha il maggior numero di prodotti a Denominazione di Origine Protetta, Controllata o Garantita. L’ultimo aggiornamento del DOOR (l’elenco delle Denominazioni europee) ci assegna 304 Denominazioni di cui 167 DOP, 134 IGP e 3 STG, se a questo aggiungiamo 5266 PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) di cui 262 solo in Lombardia abbiamo il quadro generale della situazione dell’ agroalimentare italiano di qualità.

   Ora a celebrare questi prodotti e queste tradizioni molte realtà locali sia pubbliche sia private, hanno raccolto testimonianze del saper fare italiano.

  L’Alimentarium Museum di Vevey in Svizzera è sicuramente attraente e all’opposto potrebbe attrarvi anche il Museo del cibo disgustoso di Los Angeles ma in questo momento vorremmo essere più pragmatici proponendovi, se volete, alcune attrattive culinarie sparse per l’Italia, anche per essere orgogliosi di chi siamo e siamo stati, certo, non senza qualche aiutino: i Celti per i salumi, gli Aztechi per il cacao, il Messico per i pomodori e i peperoncini, i Greci per l’olio, gli Arabi per gli agrumi, il riso, il caffè, i distillati e così via.

   La provincia più attenta a questo aspetto culturale è senz’altro la provincia di Parma che con i suoi Musei del Cibo accoglie e riordina secoli di attività artigianale. Disseminati nel suo territorio, secondo la tradizione prevalente si trovano i musei del Parmigiano Reggiano a Soragna in un antico casello; del Prosciutto di Parma a Langhirano, laddove si stagionano i prosciutti; del Pomodoro a Collecchio in Corte Giarola; della Pasta a Collecchio sempre in Corte Giarola; del Vino a Sala Baganza nella Rocca di San Vitale; del Culatello di Zibello e masalèn a Polesine Zibello presso l’Antica Corte Pallavicina; del Salame di Felino nel comune omonimo presso il castello; del Fungo porcino di Borgotaro a Borgotaro e Albareto. Se a questi aggiungiamo una visita al Museo dell’Olio Agorà di Coppini a San Secondo Parmense, la Biblioteca di Academia Barilla a Parma e Alma la Scuola Internazionale di Cucina Italiana a Colorno abbiamo un panorama completo di che cosa significhi per i parmigiani il cibo e la tavola.

   Per restare ancora in Emilia Romagna segnaliamo il Museo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Spilamberto (MO) dove vedrete in fila batterie di botticelle che per decenni avranno come compito di trasformare il mosto d’uva in un Balsamico unico al mondo, sempre in questa provincia a Zocca, il paese di Vasco trovate il Museo del Castagno. Se vi portate verso l’Adriatico non potete mancare di vedere la Manifattura dei Marinati di Comacchio (FE) la stessa del film con Sophia Loren intenta a cuocere le anguille. Poco più in giù trovate il Museo all’aperto dell’Olio di Brisighella (RA), un po' più avanti il Museo del Sale di Cervia (RA) il famoso sale dolce della Romagna. Forlimpopoli (FC) è la patria di Pellegrino Artusi e quest’anno ricorre il 200° della nascita, quindi sono previste numerose iniziative, da visitare la Biblioteca (a Casa Artusi) con tutte le edizioni del famoso “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Anche a Val di Roggio (LU) vi è un altro Museo del Castagno a ricordare che la Toscana è la patria del castagnaccio.
In Umbria e precisamente a Torgiano (PG) Giorgio Lungarotti e sua moglie Maria Grazia già negli anni ’70 del secolo scorso assieme alla cantina e alla nascita dei grandi vini di Torgiano aprirono anche il Museo del Vino (MUVIT) una perla di scienza e cultura a cui seguì, qualche anno dopo, il MOO Museo dell’Olio e dell’Oliva. In questi due grandi realtà culturali trovate modo di approfondire la cultura mediterranea del vino e dell’olio: libri, ceramiche, strumentazione, collezioni tutto ciò che serve a capire questi mondi.

   Per chi rimane nel nord Italia a disposizione vi sono il Museo del Pane di Sant’Angelo Lodigiano (LO) aperto solo per manifestazioni oppure, a Saronno (VA) la Collezione Storica Lazzaroni nel mondo dei biscotti, a Frossasco (TO) il Museo del Gusto L’allestimento museale propone al visitatore un viaggio ideale nella storia dell’alimentazione dalla preistoria ai giorni nostri, con suggestioni attraverso la cucina tradizionale contrapposta a quella contemporanea. A Gerola Alta (SO) gli appassionati di formaggio possono visitare l’Ecomuseo del Bitto storico formaggio tutelato dal presidio Slow Food. A Cisano di Bardolino (VR) sul lago di Garda c’è il Museo dell’Olio d’oliva mentre per gli appassionati si propone Poli Museo della Grappa, naturalmente a Bassano del Grappa (VI).

   Gli amanti delle cose dolci possono sfogarsi con la visita al Museo del Tiramisù a Treviso, il Museo Carpigiani dedicato al Gelato si trova ad Anzòla dell’Emilia (BO), due Musei del Confetto uno nella capitale dei confetti Sulmona (AQ) e l’altro in Puglia ad Andria (BT). Il Museo della Liquirizia è, naturalmente, in Contrada Amarelli a Rossano (CS). A Perugia non mancate la Casa del Cioccolato dell'azienda omonima, un altro Museo del Cioccolato lo potete trovare a Norma (LT) e infine non mancate l’incredibile Museo del Cioccolato di Modica (RG).

   Visto che siete in Sicilia non mancate il Museo del Sale di Trapani a Paceco (TP). Chiudiamo con i pani rituali legati alle ricorrenze religiose e festose ai quali sono dedicati due musei: uno a Salemi (TP) e l’altro in Sardegna a Borore (NU).

   Naturalmente, vista la situazione attuale della pandemia prima di recarvi ai musei verificatene l’apertura e le regole. Buone e gustose vacanze!

Nelle immagini: i Musei del Cibo di Parma; i Musei Lungarotti; il Museo del Pane; Pane Rituale; Manifattura Marinati; Scultura in Cioccolato di Modica; Il Sale di Trapani; Artusi a Forlimpopoli











venerdì 10 luglio 2020



Come mangiavamo, dal dopoguerra a ieri


“Il mio primo pensiero fu di precipitarmi sul cuoco!” così Edmondo De Amicis descrive il suo incontro con la cucina marocchina. Era una carenza deamicisiana non comprendere la cucina magrebina, il cuoco era così incapace o De Amicis aveva un palato che rifiutava altri gusti, era sofferente di fobie alimentari? Non ci è dato sapere. Eppure, in questi ultimi 70 anni i cambiamenti gastro-abitudinari hanno contrassegnato la nostra cucina e le nostre consuetudini. Il ricordo delle sanzioni, della borsa nera, del: “no alla pastasciutta!” di Marinetti, dei surrogati, dopo tutto questo, si sperava che si potesse solo migliorare. 
Il desiderio principale è il pollo arrosto della domenica o il coniglio con le patate.
Da pochi anni si conoscono abitudini alimentari prima conosciute solo localmente, poi l’incrocio di popolazioni dovute al forzato servizio militare, alle immigrazioni dal sud al nord e dall’est all’ovest hanno allargato le conoscenze. Il riscaldamento delle case di città si faceva con la cucina economica a legna che riforniva anche di acqua calda. In ghiacciaia si conservavano i cibi in estate (d’inverno bastava metterli sul davanzale della finestra) una volta ogni tanto passava l’uomo del ghiaccio che te ne vendeva un pezzo. La spesa si faceva quasi quotidianamente, il latte si prendeva sfuso in latteria con le uova, controllate alla luce della lampada per vedere se c’era il pulcino. Il caffè era un mistero: miscela Leone, Fago e, poco, caffè buono. Per difenderti dalle mosche la mamma usava il Flit o la carta moschicida. I liquori si facevano in casa con certe boccettine di Bertolini o con i prugnoli, le ciliegie, le noci. Con l’arrivo degli americani i bambini scoprono il “ciuingam”, all'oratorio si gioca a cicòti o a figurine, alla Pace c’erano anche gli Shangai e le pulci, le ragazze giocavano a “mondo”. In tavola c’è spesso la minestra, qualche volta il riso e qualche altra gli gnocchi. Il dolce non c’è quasi mai se non un pezzo di mattonella comperata a peso in latteria, la stessa che darà poi origine alla Nutella, quando un Ferrero si accorgerà che sciolta è più buona che solida. All’osteria si trova il vino sfuso di Botticino, della Riviera o di Trani (da qui il nome di tante osterie), sul banco l’oste ti propone uova sode o pane biscottato, cose che ingozzano, così berrai ancora. Si gioca a carte o alla morra, in estate, fuori, alle bocce; c’è un cartello minaccioso: “la persona civile non sputa per terra e non bestemmia!” 
Poi cambia tutto: arriva il frigorifero, la televisione, se non ce l’hai vai al bar, le trasmissioni più famose le puoi vedere anche al cinema prima del film, spariscono i cinegiornali Luce, al Sociale ci puoi stare quattro ore, due per la rivista e due per il film. Poi arriva Carosello, è l’inizio di una trasformazione forzata verso il consumismo. A Sanremo cantano: “fummo felici uniti e ci han divisi” (si tratta della divisione di Trieste), “lo sai che i papaveri son alti, alti, alti e tu sei piccolina che cosa ci puoi far” oppure un po' più avanti: “chi non lavora, non fa l’amore”. L’industria alimentare non si è ancora consolidata, perché “La Cucina Italiana” di quegli anni raccomanda alle donne di lavare il pollo con il sapone, di lavare il riso e le carni in generale. Le donne iniziano a lavorare fuori casa e si riduce così il tempo di cucinare. Dopo l’apertura dell’Autostrada del Sole si aprono gli Autogrill (21 dicembre 1959) per il loro lancio si usano anche personaggi popolari come Mario Soldati che propone dei veri e propri menù con ricette italiane come “Il pollo nostrano al fuoco di faggio”. Negli anni Sessanta, in pieno boom economico, prende avvio la cultura della pausa pranzo fuori casa e del consumo di pasti veloci, favoriti anche dai nuovi elettrodomestici (freezer, forno...) e dall'influenza del modello americano con l’avvicinamento a cracker, pommes chips e altre goduriose specialità industriali come la famosa bevanda scura. Alle novelle spose si regala “Il cucchiaio d’argento”. La disponibilità economica si riflette nelle vacanze estive, i figli dei lavoratori andranno nelle colonie estive aziendali, i borghesi in vacanza al mare o in montagna, la via intermedia passa per i campeggi. Questi spostamenti fanno conoscere piatti allora sconosciuti, come gli spaghetti alle vongole, il pesto, la parmigiana, la pasta alla Norma, i cannoli, le lasagne, i tortellini. Così che il signor Fini viene chiamato in America a mostrare come si fanno i tortellini, naturalmente non in brodo ma inondati di panna. Buitoni apre un ristorante dove si vende solo pasta (la sua) distribuita sopra una specie di nastro dove il cliente sceglie il condimento desiderato (avete presente Chaplin in Tempi Moderni?). A Roma nel ristorante di Alfredo di Lelio si servono ai divi della Dolce Vita le famose fettuccine all'Alfredo al triplo burro, due attori omaggeranno Alfredo con due posate d’oro! A Milano imperversa un famoso piatto meneghino: penne alla vodka; Marchesi inventa il raviolo aperto (abbiamo impiegato secoli per imparare a chiuderlo) e il riso oro e zafferano. Risale al 1981 l'apertura del primo ristorante fast food italiano a Milano, in Piazza San Babila. Inizia l’assalto alla ristorazione, si chiudono le osterie, i trani e le latterie, non più alla page. In Francia appare la Nouvelle Cuisine che destruttura i piatti, li alleggerisce, riduce le porzioni, perché ormai la fame non c’è più, e, con l'impiattamento, trasforma il cuoco in un assemblatore di alimenti diversi. Negli anni Cinquanta arriva anche il Carpaccio, un’invenzione dell’Harry’s Bar di Venezia di Giuseppe Cipriani. Da quelle fette di carne cruda condita di salsa nascono le varie interpretazioni, la più diffusa è con la rucola e il grana, condita con un filo d’olio, sale e pepe. Ma poi saranno chiamati “carpaccio” tutto ciò che si taglia sottile dal pesce alla pesca. A proposito di rucola, quest’erbetta spontanea dell’Italia centrale aveva per nome ruchetta e con la rucola sotto plastica di oggi non c’entra niente. Le gastronomie si rifanno a Fauchon di Parigi, a Brescia Agosti, a Milano Peck. I cibi diventano sempre più industriali, sempre più freddi (congelati e surgelati), ma costano anche sempre meno e nessuno si chiede perché. Chi coltiva questi prodotti se quasi tutti lavorano in fabbrica? La spesa alimentare si assottiglia sempre di più, mangiare fuori casa è ormai un’abitudine e a sostegno del mondo agricolo si aprono gli agriturismi. Poi arrivano le guide, la prima, nel 1956, fu la Michelin, poi Veronelli e L’Espresso, poi il Gambero Rosso e tante altre. Tutte a indicare la miglior ristorazione italiana che dagli anni ’70 in poi fece passi da gigante da Gualtiero Marchesi a Fulvio Pierangelini, da Guido Alciati ad Alfonso Iaccarino, da Nadia Santini a Pina Bellini, da Mirella Cantarelli a Luisa Valazza. In TV Mario Soldati ti racconta i cibi genuini della valle del Po, Luigi Veronelli e Ave Ninchi battibeccano sull'esecuzione delle ricette. Queste sono le realtà che si incontrano nei vari territori e modi di intendere il cibo, la cucina diffusa in tante parti d’Italia. 
Ma il cibo è ancora guardato con sufficienza da tante parti, spesso ignorato appositamente, il vino è ancora additato con severità come se si fosse ancora ai tempi di Filippo Turati e i “ciucialiter”.
Nel 1982 nasce la rivista “La Gola” che raccoglie intellettuali, storici, filosofi a discutere di cibo e vita materiale. La situazione nella società civile sta fuggendo di mano, si diffondono i fast food, le merendine industriali e il vino diventa al metanolo e uccide 20 persone. Questa “distrazione di massa” verrà sottolineata da un’associazione che si chiamerà prima Arcigola e poi Slow Food. Verranno esaminati i menù delle Feste popolari, dei circoli e delle mense e si scoprirà che si è perso il rapporto tra cibo e coltivatore-allevatore. Anche questa associazione produrrà una sua guida, la chiamerà “Osterie d’Italia” per indicare la strada da percorrere nella ristorazione. Le grandi fabbriche del cibo hanno preso il sopravvento, gli allevamenti sono diventati intensivi, i polli crescono in gabbia, i maiali e le mucche non vedono un pezzo di terra in cui brucare o scavare. I bambini pensano che il pollo non abbia mai avuto le penne e un pezzo di mela verde sia un dentifricio. All'Istituto Nazionale di Sociologia Rurale, Corrado Barberis, il presidente, organizza un censimento dei prodotti tipici nazionali dai formaggi ai salumi, dalle paste alle erbe, si scopre così un patrimonio immenso di prodotti e di artigianalità straordinari. Sarà la base su cui far nascere le Doc e le Dop e finalmente la strada della qualità è segnata. Nel 2004 a Torino si svolge “Terra Madre” un incontro mondiale delle comunità del cibo che si ripete ogni due anni. E speriamo che questa sia la svolta buona!

Di seguito alcuni protagonisti: La Gola e Slow Food







venerdì 3 luglio 2020


La cultura del cibo


Iniziamo subito a porci una domanda: il cibo è un diritto o è solo un fatto casuale che l’uomo mangi per sopravvivere? Gli antropologi lo sanno da sempre: il cibo descrive l’uomo e il suo modo di vivere, nelle società primitive studiare cosa mangiassero queste popolazioni indica il livello culturale raggiunto. Ma fuori delle accademie, lontano dai riflettori delle scelte alimentari, la cultura del cibo desta poco interesse. È di qualche anno fa la frase di un economista italiano “con la cultura non si mangia”. La cultura legata al cibo invece ci ha sempre permesso di mangiare, ci ha indicato cos’era buono e cosa no. Qual era la stagione di questo alimento e il suo utilizzo in cucina, ci permetteva, questa conoscenza, di esercitare delle scelte per salvaguardare la salute. Ma questo modo di fare, questa cultura del cibo non sollevava entusiasmo fra coloro che si esercitavano a propagandare la cosiddetta “rivoluzione verde”. Con lo slogan “cibo per tutti” si apprestavano a smembrare il mondo contadino esistente e la sua civiltà e quindi la sua cultura.

Il Patto Internazionale delle Nazioni Unite su diritti economici, sociali e culturali all'articolo 11 recita: “è diritto di ogni individuo avere un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario ed alloggio adeguati nonché il miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita”. Ebbene sono dovuti passare 40 anni perché la FAO dichiarasse che l’attuazione del diritto a un’alimentazione adeguata richiede, tra le altre cose:  “la disponibilità di cibo libero da sostanze avverse e culturalmente accettabile”.



In quella situazione culturale il cibo orientato al profitto non avrebbe trovato terreno facile, ma un paio di cose sono successe. La prima furono le scelte “sdraiate” sull'industria, sulla siderurgia in un paese che avrebbe dovuto fare del cibo e del turismo le sue punte di diamante. Andate a vedere dove hanno posizionato le grandi industrie siderurgiche: in Liguria, in Campania, in Puglia, le perle della nostra tradizione agricola. Poi venne il trionfo dell’industria alimentare che non aveva bisogno di un consumatore “colto” che poteva dire “questi pomodori te li mangi tu”. Aveva bisogno di un consumatore, distratto, pigro e credulone. Se non c’era bisognava inventarlo, costruirlo con una pubblicità che creava bisogni, che alimentava sensi di colpa per la propria inadeguatezza a cogliere le novità. La cultura alimentare che possedevamo si è andata erodendo, finché non ci siamo accorti dell’inganno: truffe, scandali alimentari, patologie, ingiustizie.
Allora, con fatica, abbiamo cercato di riprenderci ciò che ci avevano tolto: la cultura. Abbiamo studiato, abbiamo incontrato agricoltori, cuochi, allevatori e abbiamo così capito che noi eravamo proprio come le popolazioni studiate dagli antropologi. Questo analfabetismo alimentare continua tutt’oggi e fa leva sulle nuove generazioni, quelle più fragili e soggette alle immagini di un cibo finto, infarcito di musica moderna ma vuoto di cultura. Tocca a noi riportare la conoscenza dentro casa, dentro scuola.

Dobbiamo, verso il cibo, esercitare una parolina semplice come cura. Cura è una parolina modesta, può significare rimedio ma se le affianchiamo un verbo ausiliare, ecco che esplode in tutta la sua forza: “aver cura”. La distinzione tra la qualità e la non qualità, tra la sostenibilità e la non sostenibilità è proprio quella: se la produzione, la distribuzione e il consumo del cibo fanno parte di un sistema che ha cura di tutti gli esseri viventi, delle risorse del pianeta, dei diritti di chi c’è e di chi arriverà, o se invece questa cura non c’è.

Il passaggio è questo, dalla inconsapevolezza di una forte cultura alimentare, all'inizio della consapevolezza di una cultura alimentare in via di devastazione. In mezzo c’è stata anche l’azione deliberata di tanti intellettuali, di tanti politici che hanno guardato per decenni con sufficienza, quando non con scherno, alle questioni relative all'agricoltura e al cibo: quella roba lì nemmeno per loro era degna di essere chiamata cultura. Ora finalmente è chiaro, non per tutti certo, che la cultura è anche roba da mangiare. E senza cultura si può arrivare a mangiare così male da rovinare la salute propria e quella del pianeta. Un famoso slogan anarchico recita: “se il tuo pensiero è debole significa che hai mangiato male!”

Ma come esercitarla questa cultura? In democrazia esiste lo strumento della delega, nel caso del cibo: se non posso produrlo io, delego qualcuno che lo faccia per me. Nelle città e nei grossi agglomerati produrre cibo è impossibile. Se i produttori sono vicini a noi le informazioni ce le possiamo procurare facilmente, per esempio possiamo andare a vedere come lavorano o incontrarli in un mercato contadino; se invece si tratta di prodotti che arrivano da più lontano, l’etichetta diventa fondamentale. Altrettanto importante sarà la stampa di settore, se fa correttamente il suo mestiere – che è quello, importantissimo, della divulgazione – e non si confonde con gli uffici stampa delle azienda. Perché la pubblicità non è quello che ci serve per riconfermare la delega, proprio perché è una strumento di comunicazione che sta in mano a chi vogliamo controllare. Quindi ora ci resta l’etichetta, strumento di democrazia che, per citare Pericle, favorisce: “i molti invece dei pochi” Ma le etichette come sono fatte oggi sembra che tutelino più il produttore che il consumatore. Secondo il ragionamento fatto prima sulla qualità e la sostenibilità, il consumatore dovrebbe sapere come sono stati trattati gli animali che hanno prodotto il latte o la carne che sto per comprare, cosa hanno mangiato, di quale razza sono, se è una razza del luogo in cui sono stati allevati o no, e dove sta questo luogo, insomma da dove viene il latte di quel formaggio, quali trattamenti ha subito, chi sono le persone che si sono occupate della trasformazione del latte in formaggio, quale tipo di relazione hanno con quel lavoro, e via di questo passo. Un’Etichetta Narrante, come la chiama Slow Food che non è solo uno strumento di comunicazione, ma anche di promozione (di cibo e territorio) e di educazione alimentare. Questa è quella che noi chiamiamo cultura del cibo che sommata alla storia ci fornisce gli strumenti adatti a capire ciò che arriva in tavola.

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