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sabato 29 maggio 2021

 

È l’ora del rilancio, adesso o mai più


            Finita, o quasi, l’emergenza pandemica (ma occorre usare ancora prudenza), bisogna pensare al rilancio. Inutile recriminare, bisogna rimboccarsi le maniche. L’Italia è uscita da tante guerre, uscirà anche da questa. Abbiamo un’occasione storica: Brescia-Bergamo città della Cultura 2023. Qualcosa si sta muovendo, Comune Bs, CCIAA Bs, ARTHoB, e qualche Comunità Montana. Non facciamo l’errore di muoverci in ordine sparso, qualcuno suggerisce di guardare a Parma. Io so come si sono mossi i parmigiani: hanno individuato le migliori menti locali sulla enogastronomia, turismo, cultura e creato una cabina di regia. Anche noi dobbiamo procedere in questo modo. Brescia ha bisogno di un rilancio turistico forte, denso di idee nuove, un portale dedicato. Il tema della enogastronomia, che mi è più confacente, mi solletica e mi dice di raccontarvi e lanciare alcune proposte che da anni sono sul tavolo. La mia esperienza a Parma racconta che là risultano aperti dal 2002 in poi ben 8 Musei del Cibo (Prosciutto di Parma, Parmigiano Reggiano, Pomodoro, Salame di Felino, Culatello di Zibello, Vino, Pasta, Fungo di Borgotaro). I musei sono tutti in rete e diretti a livello centrale e coordinati da un gruppo di lavoro. La mia esperienza mi dice che un buon lavoro da buoni frutti, e noi bresciani di buoni frutti ne abbiamo molti ma tendiamo a sottovalutarli. Non c’è bisogno di grandi studi per capire che l’attrattiva turistica più forte sono il cibo e il vino, anche solo perché con essi bisogna confrontavicisi almeno due volte al giorno. La provincia bresciana è ricca di prodotti di alta qualità ma fatica a mostrarli. I consorzi di tutela spingono per valorizzare l’intera filiera, faticano a distinguere gli apici della produzione. Nel nostro territorio svolgono la loro attività ben tre Consorzi DOP (Grana Padano, Nostrano Valtrompia, Silter) dedicati ai formaggi. e una serie ben nutrita di Consorzi Vinicoli. Svolgono la loro attività anche Associazioni di Agricoltori e Contadini, Slow Food, e altri con finalità diverse. Sopra tutti, le Istituzioni: la Camera di Commercio, la Provincia di Brescia, il Comune capoluogo con i suoi 200 mila abitanti. A queste possiamo aggiungere le associazioni sindacali di categoria Confesercenti, Confcommercio e Confartigianato e così via. Tutte associazioni che devono tutelare e lanciare o rilanciare le proprie categorie. Non si può di certo affermare che non si sia fatto nulla, anzi ho visto in questi anni molte attività e proposte di ogni genere, alcune anche molto intelligenti e curate. Manca però, secondo me, una cabina di regia, un centro propositivo, un luogo dove le varie attività siano incanalate in un progetto o una parte di un progetto più grande che permetta una visione d’insieme narrabile.

“Il settore dell'enogastronomia rappresenta ormai da tempo l'Italian lifestyle, è un vantaggio per i Paesi che imitano il nostro stile e le nostre produzioni ma anche un punto di forza per implementare l'attrattività turistica italiana”. Questo scriveva Erica Croce già dieci anni fa.

 Cosa abbiamo noi da mostrare dal punto di vista enogastronomico al turista e al food friend che spesso si sommano in un’unica categoria. La prima cosa che viene in mente a un bresciano è lo spiedo, in secondo luogo i casoncelli, il pesce se è gardesano o iseano, i formaggi se vive sulle valli.  E naturalmente i vini, dalla Franciacorta al lago di Garda, da Capriano alla Valle Camonica. Da qualche anno si sono organizzate le Strade del Vino: Franciacorta, Colli dei Longobardi, Vini e Sapori del Garda. Ebbene, è ora di fare il salto di qualità, organizzare dei percorsi che tengano in giusto rilievo l’arte, l’ambiente, lo sport, l’artigianato e l’enogastronomia.

Propongo alcuni percorsi con tipologie d’’intervento che possono essere diverse.

 La prima: Via Lattea Bresciana, un percorso tra produttori di pianura, di collina o di montagna e i loro formaggi, i loro pascoli, le loro malghe. Una serie di indicazioni, con la cartellonistica adeguata, dove trovare i formaggi, dove degustarli in iniziative ad hoc o in agriturismi, ristoranti, trattorie, osterie, botteghe, spacci. Visite guidate in malghe, caseifici, luoghi di produzione. Una rete di posti dove alloggiare. Una serie di consigli per escursioni nell’ambiente circostante. Le bellezze artistiche, architettoniche, naturalistiche, archeologiche da vedere. La provincia di Brescia, con la città, è sede di ben tre siti Unesco: le incisioni rupestri della Valle Camonica, i siti palafitticoli alpini nelle vicinanze del lago di Garda, i luoghi del potere dei Longobardi in città. Alla nostra provincia dalle Valli alla Bassa non mancano luoghi suggestivi, corsi d’acqua, parchi naturalistici, castelli, ville, giardini. Così come per gli appassionati di sport non mancano percorsi da compiere a piedi, in bicicletta o altro. Si tratta dunque di mettere a regime l’organizzazione, incrociando competenze e sostegno economico.

La seconda: Strada dello Spiedo Bresciano. Anche qui non mancano i riferimenti alle nostre tradizioni, la caccia e l’industria armiera. Senza ipocrisie: questo è il nostro percorso storico durato molti secoli. Non solo i bresciani hanno consumato animali cacciati, pensate ai toscani o ai sardi, ai veneti e agli abruzzesi, tutti i popoli erano costretti per fame a procurarsi in qualche modo il cibo. È nata, da noi, la cultura dello spiedo, un metodo antico come il mondo che da noi ha avuto un’evoluzione anche artigianale. Pensate agli artigiani (quasi degli orologiai) che costruivano le macchine da spiedo ispirati anche da Leonardo da Vinci con la sua macchina a fumo e contrappesi. Sgomberando il campo dalla presenza o meno degli uccellini, possiamo sostenere tranquillamente che la tradizione non è morta con il divieto di consumo in luoghi pubblici, perché il cacciatore corretto, può consumare tranquillamente il frutto della sua caccia con la famiglia e gli amici. Dello spiedo la cosa più importante è la capacità di unire carni diverse e portarle a cottura alla perfezione, lentamente e con le braci di legna. Questa peculiarità e sapienza artigianale vanno tutelate non l’evoluzione naturalistica e ambientale del prodotto. La capacità di scegliere le carni giuste, i volatili tagliati alla perfezione, le eventuali patate secondo la zona, il dosaggio delle braci, la salatura, il condimento e un tempo di cottura adeguato, la posizione delle stecche sulla macchina, la distanza tra le carni e il calore. La capacità di capire la differenza tra una cottura in un tamburo o davanti al camino, qui sta la sapienza del cuoco o della cuoca. Promuovere lo spiedo in quelle zone che storicamente lo propongono è promozione di territorio esattamente come la Via Lattea Bresciana. L’insistere sulla qualità delle carni, delle patate, del burro e di quello che si usa nella cottura significa promuovere una rete di produttori di qualità. Lo spiedo non è tale se non è accompagnato da un vino bresciano, così il cerchio gastronomico si chiude. La proposta non vuole sollevare perplessità ma sottolineare una peculiarità tutta bresciana.

La terza: è il piatto della festa per eccellenza, i casonsèi bresà. Anche qui le varie zone della provincia hanno espresso la loro visione e il loro gusto. Credo che poche provincie possano vantare una varietà di paste ripiene come quella bresciana. Solo i nomi fanno girare la testa da qui alla Sardegna:

Vogliamo parlare della loro composizione, o dello spessore della pasta, o del condimento o, se preferite della forma. E’ un caleidoscopio gastronomico che tocca tutta la nostra provincia. Ebbene, nel 2018 alla in occasione del 70° della Fiera di Orzinuovi è stato lanciato il Concorso Provinciale dei Casoncelli Bresciani. La partecipazione è stata ampia nelle tre categorie proposte: giovani, privati e professionisti e il risultato dell’assaggio dei prodotti partecipanti ha dimostrato la vitalità di un piatto molto sentito dai bresciani e protagonista di tante Sagre del nostro territorio, dalla Bassa alle colline, dal lago alle Valli abbiamo potuto constatare le peculiarità e la differenza nelle varie interpretazioni. Inutile dire che anche con i casoncelli si toccano produzioni di materie prime di qualità, dalle carni ai formaggi, dal burro ai vari ingredienti proposti. Riprendere il concorso, portarlo nell’ambito cittadino e dedicargli una manifestazione mi sembra d’obbligo se teniamo alla nostre tradizioni culinarie.

Chiudiamo con l’auspicio che “chi di dovere” accolga queste proposte e le usi per un rilancio della nostra bella provincia, e buna fés.

Nelle illustrazioni: Via Lattea Bresciana, Strada dello Spiedo Bresciano, tipologie di casoncelli, i casoncelli bresciani








martedì 11 maggio 2021

 

Donne in cucina ieri e oggi

         La donna in cucina è poco celebrata, come se fosse una cosa naturale e inamovibile il fatto che a cucinare tocchi sempre a lei. Sono decenni ormai che se ne discute, negli anni Settanta Dacia Maraini in persona era intervenuta con un articolo su “Tuttolibri”. Basta leggere gli antichi manuali dei cuochi più famosi di un tempo per capire che la donna non era mai considerata. Le istruzioni si riferivano a cuochi, garzoni, sguatteri con una particolare attenzione alla sporcizia e alle ruberie. Il capo cuoco, non si usava il termine, banale, di chef, era il re della cucina, il trinciante e il maestro di casa i padroni della sala e delle feste. Per vedere una donna alla testa di una brigata di cuochi occorre aspettare qualche secolo.

         In Francia, ancora lì, si chiama mère Eugénie Brazier, una cuoca autodidatta che entrata in cucina non ne è più uscita fino a raggiungere le meritate tre stelle, anzi, macarons, come dicono i francesi. Les méres erano le cuoche di Lione famose in tutto il Paese per la loro cuisine de ménage, in Francia contrapposta da sempre, alla grande cuisine. Queste mères, invece si imposero e divennero famose allevando futuri chef come Paul Bocuse e Georges Blanc. Dall’altra parte dell’oceano si fanno strada altre grandi cuoche trascinate dalla cuoca di Pasadena Julia Child formatasi nei tanti anni vissuti a Parigi e divenuta famosa sul piccolo schermo interpretata anche in un celebre film con Meryl Streep. Da Istria giunge Lidia Bastianich considerata l’erede della Child per la sua imprenditorialità e per l’ostinazione nel far riconoscere la cucina italo-americana come corrente tradizionale ormai separata dalla madre patria. Un’altra cuoca proveniente dalla Francia ma cresciuta in America è Dominique Crenn la prima donna americana a ricevere prima due, poi tre stelle Michelin. Nancy Silverton invece fa il percorso inverso: viene in Italia per imparare a fare gli  impasti di pane e pizza, poi apre a Los Angeles il suo forno, Mario Batali, uno chef stellato americano, racconta che "Los Angeles impazzì per il pane della Silverton”. Alice Waters è una cuoca e saggista statunitense, attivista per l’educazione alimentare e proprietaria del celebre “Chez Panisse” di Berkeley, California. Nel 1996 ha creato il progetto “Edible Schoolyard”, un orto adiacente la cucina della scuola coltivato dagli alunni. È la vicepresidente di Slow Food International. È grazie a lei che Michelle Obama ha fatto del giardino della Casa Bianca un laboratorio di agricoltura biologica. Ana Roš  chef del ristorante “Hiša Franko”, a Kobarid, in Slovenia, il suo percorso è stato tutto in salita, come capita spesso alle donne, ma oggi è riconosciuta come una delle cuoche più affermate al mondo. Allieva di Alain Ducasse, Hélène Darroze di strada nell'alta cucina ne ha fatta molta. Premiata con due stelle Michelin dopo aver sostituito Angela Hartnett al Connaught Hotel di Londra, Darroze è anche nota per aver ispirato il personaggio di Colette nel film della Pixar del 2007, Ratatouille. Classe 1952, catalana e femminista, Carme Ruscalleda è stata la prima chef spagnola a ottenere la terza stella Michelin nel 2006 per il suo ristorante «Sant Pau» (chiuso nel 2018 per dedicarsi al laboratorio creativo Cucina Studio). Severa e un po' ribelle, tanto da aver rifiutato nel 2014 il riconoscimento di Miglior chef donna dei World's 50 Best. Anne-Sophie Pic è una chef francese nota per aver riconquistato tre stelle Michelin che aveva avuto prima il padre per il suo ristorante, “Maison Pic”, nel sud-est della Francia. È la quarta chef donna francese a vedersi assegnate le tre stelle Michelin.

         In Italia, se guardiamo i riconoscimenti della Michelin, un metodo poco significativo, perché le cuoche non stellate non valgono nulla? Chi l’ha detto? Usare quel metodo denuncia appiattimento e un po' di servilismo. Comunque, pur accettando quel metodo solo il 4% delle cuoche in tutto il mondo hanno le stelle Michelin ma di queste, un terzo, sono italiane. Altri invece sono i meriti delle cuoche, sono la tenacia per un lavoro duro e, se hanno pure famiglia complicato da gestire. Da noi a partire dal Novecento si sono affacciate sulla scena culinaria cuoche di grande livello. La prima da ricordare è la “sora Lella”, Elena Fabrizi ristoratrice romana e personaggio televisivo famoso non solo perché era la sorella di Aldo Fabrizi ma per la sua semplicità nel porre sul piatto la sua cucina romana. Su tutte ricordiamo anche Mirella Cantarelli che a Samboseto, nella campagna parmigiana faceva strabiliare i clienti. Un’altra indimenticabile: Lidia Alciati cuoca da Guido da Costigliole (d’Asti) memorabili i suoi agnolotti dal plin. Non molto distante Mary Barale al “Rododendro” di Boves nel cuneese decide di continuare a cucinare nonostante la vedovanza e due figlie. Senza stelle ma nel cuore dei clienti abituali le donne della Buca di Zibello: Romilda, Zaira, Elena e Miriam, dal 1896 si susseguono nella cucina ammirata anche da Giovannino Guareschi. È riconosciuta come la maestra di tante cuoche (anche di tanti cuochi a cominciare da suo figlio Giovanni) Nadia Santini che si presenta sempre tutt’uno con la sua famiglia: i Santini dal Pescatore di Runate a Canneto s/O in quello spicchio di Bassa tra il Cremonese, il Bresciano e il Mantovano. Luisa Marelli Valazza mostra orgogliosamente il suo cognome da ragazza quando con il marito, negli anni ’70 rilevano un piccolo albergo a Soriso sul lago di Varese lo chiamerà “Al Sorriso” e sarà un punto di riferimento internazionale anche per la grande professionalità del marito Angelo. Tre grandi cuoche “nascoste” dalla fama dei mariti sono Silvana Colombani meravigliosa interprete della cucina lombarda a Maleo in quel ristorante "Al Sole" nel lodigiano, applaudita da Gioann Brera aficionado cliente; la seconda è Franca Franceschini del ristorante “Romano” di Viareggio forse la migliore cucina di pesce del Tirreno; la terza, una donna francese che all’”Enoteca Pinchiorri” di Firenze riuscì a riconquistare, dopo averle perse, le tre stelle della guida rossa, stiamo parlando di Annie Feolde. Al “Caino” a Montemerano di Grosseto si era presentata questa ragazzotta per lavorare in cucina e non se n’è più andata, Valeria Piccini dimostra subito le sue capacità e diventa un esempio anche per tanti chef futuri come Niko Romito. Ancora due grandi cuoche che non possiamo dimenticare per l’amicizia che ci lega: Antonella Ricci cuoca presso il “Fornello da Ricci” a Ceglie Messapica nel Brindisino, testimone di una tradizione locale dei “fornelli” antiche trattorie popolari e continuatrice dell’opera di papà Ricci che aveva iniziato l’attività. È di pochi giorni fa la notizia che Isa Mazzocchi ha ottenuto il riconoscimento per il 2021 di miglior chef donna istituito dall’Atelier des Grandes Dames di Veuve Clicquot e Michelin, con l’intento di premiare le migliori rappresentanti della ristorazione italiana. Le vincitrici precedenti sono state tra le migliore cuoche delle nuove generazioni: 2017, Caterina Ceraudo; 2018, Fabrizia Meroi; 2019, Martina Caruso; 2020, Marianna Vitale che recentemente ha deciso di aprire una scuola di formazione culinaria per i ragazzi che escono dal carcere di Nisida, per quelli che scappano dalla guerra, per quelli che non hanno una casa e per tutti coloro che hanno voglia d'imparare, di formarsi, di migliorare professionalmente. “Venissa” è un posto idilliaco, un ponte unisce il borgo a Burano un’isola nella laguna veneta famosa per i suoi merletti al tombolo. In questo ristorante con osteria contemporanea hanno cucinato tre grandi cuoche del nostro tempo: Paola Budel, tanti anni con Gualtiero Marchesi, Antonia Klugmann friulana di grande talento e Chiara Pavan l’attuale titolare della cucina. Paola Budel ci fa il punto della situazione femminile all’interno delle cucine: “Se rimani incinta sono assolutamente fatti tuoi, per esempio, è come se non lavorassi. Non sono cose da sottovalutare, non hai alcun tipo di tutela. Puoi anche fare dei sogni ma è la realtà, ci sono degli impedimenti reali. Poi storicamente la ristorazione è legata alla figura del cuoco maschile, così come in tanti altri lavori. Rimane un grosso scoglio come quello del welfare di uno Stato che penalizza tanti lavori e lavoratori”.

         E a Brescia? Anche noi abbiamo avuto e abbiamo ancora grandi cuoche che imperavano nelle cucine dove oggi magari ci sono gli chef come al Miramonti l’altro di Concesio dove esercitava Maria Muffolini che poi lasciò le redini a Philippe Léveillé, A Inzino, vicino a Gardone Valtrompia c’era la Pinòla famosa per i suoi casoncelli, a Sant’Eufemia Maria Catìa e la sua mamma, al Gambero di Calvisano mamma Edvige e tante altre. Oggi a Erbusco ha chiuso il famoso ristorante “Da Nadia”, il regno di Nadia Vincenzi che, lo speriamo con tutto il cuore, riapra presto da qualche parte. Sui monti di Serle, in frazione Castello la trattoria omonima vede ai fornelli Lorena Sorsoli da almeno tre decenni, una cuoca con una grande sensibilità di cucina che esprime nei suoi piatti.

Insomma, c’è speranza se ai fornelli c’è una donna.

Nelle immagini: Mère Brazier, Lidia Alciati, Mirella e Peppino Cantarelli, Nadia Santini, Antonella Ricci, Valeria Piccini, Isa Mazzocchi e Nadia Vincenzi