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venerdì 25 settembre 2020
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sabato 12 settembre 2020
La cucina bresciana e i suoi testi
Molti di voi, lo spero, avranno letto i miei libri sulla nostra cucina, se non li avete letti li trovate in biblioteca. Ma sulla nostra cucina molti hanno scritto e alcuni sono stati presi in considerazione per il loro carattere storico, pensate ad Agostino Gallo con le sue “Venti giornate dell’agricoltura” del 1570 prima ancora di lui Galeazzo dagli Orzi con “La massera da bé” in una pregevole edizione curata dal prof. Giuseppe Tonna per i tipi della Grafo. Teofilo Folengo il mitico Merlin Cocai pur essendo un frate mantovano ha passato decenni nel bresciano per cui le sue note gastronomiche su casoncelli, foiade e pesci del Garda sono preziose, le troviamo nel suo “Baldus”. L’Accademia Agraria con sede a Rezzato era tenuta da Giacomo Chizzola, padrone di casa, ma le cattedre erano di Agostino Gallo, Camillo Tarello, Niccolò Tartaglia e altri specialisti di cose agronomiche. Ricette bresciane o alla bresciana ne troviamo disseminate in vari ricettari antichi come lo Scappi, in un “Libro di cucina del XIV secolo” scoperto da Ludovico Frati a fine Ottocento troviamo le “cervellate bressane” che testimoniano in terra bresciana queste salsicce gialle, le rammenta anche la “Massera” così come cita i “fiadò” i fiadoni, delle offelle ripiene sia dolci sia salate. Stupisce trovare in ricettari del XVI secolo il “cisame” che in dialetto gardesano fa “sisam” una salsa di pesce che ricorda come nel Cinquecento per conservare il carpione da inviare nelle Corti del tempo si sia inventato un metodo che si usa ancora oggi non solo per il famoso pesce lacustre ma anche per pesci e verdure il metodo “in carpione” che i veneti chiameranno “saor” . Il carpione era un pesce molto amato dai cuochi delle Corti, tutti si cimenteranno nella sua preparazione da Maestro Martino con il Platina, dallo Scappi allo Stefani nella corte dei Gonzaga. Qualcuno confonde il carpione con la carpa, anche grandi gastronomi come il dott. Alberto Cougnet, per inciso al Folengo, invece, non piacevano i barbi. Non troviamo traccia contrariamente, dello splendido coregone, la risposta è semplice: fu immesso, assieme ad altri pesci, come il pesce gatto, verso la fine dell’Ottocento per il ripopolamento dei laghi.
Nei libri dell’Ottocento troviamo citati anche molti dolci tradizionali alcuni diffusi anche in altre regioni come le offelle e il pane speziale, altri denominati “alla bresciana” come le spongarde e lo spongato detto buzzolano, il nostro bossolà. Curiosi i “cannoncelli alla bresciana” (cannelons à la bressane) di Giuseppe Sorbiatti chef, poco prima dell’Unità d’Italia, al Danieli di Venezia e famoso in città per un buffet da 2500 persone organizzato dai Fenaroli in Palazzo Martinengo nel 1860. Questi “cannelons” non sono casoncelli come qualcuno ha riferito sono invece un impasto di polenta avanzata e usata come ripieno all'interno di foglie di cavolo come i capunsèi. Lo stesso Sorbiatti dimostra una certa affettuosità nei nostri confronti spiegando come si cucinano gli “uccelletti alla bresciana” e ci fornisce anche una ricetta delle “Offelle di Sant’Afra”. Di queste descrizioni “a là bressane” qualcuno sollevò dubbi circa l’origine lombarda di questi piatti lo spiegherà molto bene Ernesto Borgarello in “Il gastronomo moderno” del 1904 prezioso vademecum della cucina classica del tempo, ecco come spiega:
Bresse – Brescia – à la
bressane, alla bresciana. Potage à la bressane, zuppa al brodo con porri e
crostini”.
Nel 1822 esce un anonimo “Cuoco bresciano” lo trova per caso Gargioni della Stacca di Gussago e lo descrive sul giornale Danilo Tamagnini. I piatti descritti sono una mescolanza di ricette francesi e italiane che fanno la somma di tanti ricettari anonimi usciti in quel periodo. Il bossolà bresciano troverà invece posto nel ricettario di un grande pasticciere del Novecento: Giuseppe Ciocca, nella seconda edizione del suo “Il Pasticciere e il Confettiere moderno” nel 1914. Un accenno particolare alla tradizione liquoristica bresciana, i ricettari ne descrivono pochi ma in realtà in un antico volume di liquoristica leggiamo che l’Anesone triduo si può fare solo a Brescia, Orzinuovi e Salò “per la purezza della loro acqua”.
Non meravigliatevi di questa ricchezza gastronomica se perfino Cosimo III de’ Medici scrive, tra il 1690 e il 1699 al conte Vincenzo Calini che gli aveva inviato “per la futura Quaresima un bugliolo di carpioni marinati” in altra occasione risponde: “Posso dunque adesso accertarla di aver trovato il tutto di somma squisitezza e quanto alle bottatrise, che mai avevo assaggiate, non può negarsegli il pregio, che è in loro, di una straordinaria delicatezza”.
Sarebbe interessante, e lancio la proposta all'Assessorato Turismo del comune di Brescia e della Camera di Commercio, esporre in una manifestazione pubblica questa ricca raccolta bibliografica che conta di circa 300 volumi. A voi!
Di seguito i principali testi e il prof. Giuseppe Tonna.