Bartolomeo Scappi e Christoforo da Messisbugo protagonisti della cucina del Rinascimento
Christoforo da Messisbugo è il grande maestro di casa del cardinale Ippolito II d’Este padrone di Ferrara. Non si conosce l’anno di nascita né la sua provenienza, forse delle Fiandre, morirà nel 1548. Nel 1549 viene pubblicato “Banchetti composizioni di vivande” un’opera fondamentale per conoscere l’organizzazione della mensa dei nobili del tempo, dopo qualche anno uscirà una seconda edizione con un altro titolo (Libro novo). Il maestro elenca tutte le masserizie occorrenti per un banchetto in reggia o fuori in trasferta, straordinari i menu, alcuni superano le 100 portate intramezzate da canti, suoni e balli, per finire in bellezza:
“Dopo cena Sua Signoria Reverendissima fece portare una Navicella d’Argento carrica di Collanine. Manigli [monili], Abigliamenti d’orecchie [orecchini], Annelletti, Guanti profumati, Bussoli di compositioni [scatole di dolci], & altre gentilezze le quali cose appresento a i Commensali, & a cui una cosa, e a cui un’altra… e sonarono le cinque hore di notte”.
il maestro elenca 56 specie di pesce fresco e 20 pesci salati, più una ventina di crostacei e molluschi e ci stupirà per una cena a base di pesce dove arrivano in tavola ben 145 diverse portate di pesce. Nel libro insegna ad accarpionare trote, carpioni, cefali, orate, rombi. A far persutti, salcizzoni e investiture (culatelli e coppe), Cappone in gelatina, a far tomaselle e cervellate cioè delle preparazioni di salumeria con budelli animali, tenendo conto che in queta epoca i salumi sono principalmente di pesce. W poi fiadoni e fiadoncelli, una torta lombarda di erbette. Le melanzane le chiama “mollegnane ovvero pome disdegnose”. Tra i dolci i Sosameli napoletani, i mostazzoli romani e le brazzadelle l’antico pandoro veronese. Da ricordare a chi non ne fosse a conoscenza che Christoforo da Messisbugo (talvolta scritto Messi Sbugo) pubblica la prima ricetta sulla preparazione del caviale, che distingue in fresco e da conservare. La ricetta del maestro sarà conservata e tramandata nei secoli a Ferrara e ancora oggi c’è qualcuno che la propone. D’altronde Ferrara si trova allo sbocco del fiume Po dove si pescano gli storioni.
Bartolomeo Scappi è sicuramente il cuoco più famoso del Rinascimento, la sua carriera si è svolta tra le corti cardinalizie e papaline tra Venezia e Roma. Non si conosce la sua data di nascita, si presume nei primi anni del Cinquecento, a Dumenza vicino a Luino. Per secoli è stato definito bolognese o veneziano poi si è trovata la prova della sua nascita a Dumenza. L’apprendistato del cuoco ebbe certamente inizio a Milano, come dimostra la conoscenza di prodotti e della cucina milanesi e persino qualche passaggio dialettale nel suo trattato. Entrò nell’empireo principesco della Chiesa verso il 1530 servendo a Venezia il cardinale Marin Grimani, anche arcivescovo di Udine; con lui si spostò a Roma e, pur insediandosi nell’urbe, probabilmente lo seguì in qualcuna delle sue missioni politiche, a Bologna, Perugia, Piacenza e in Francia; a Roma pare che si prestasse a richiesta secondo le esigenze dei nobili e degli ecclesiastici, ad esempio per il cardinal Campeggi, organizzò il pranzo offerto a Carlo V nel 1536. Fu cuoco “segreto” cioè privato, personale, “nostris intimis Coquis” di alcuni papi e preparò personalmente alcuni banchetti in conclusione di alcuni “Conclavi” per l’elezione del nuovo papa. A Scappi bisogna riconoscere il merito di essere un grande cuoco del suo tempo, il più attivo anche nella Confraternita dei cuochi e dei pasticceri di Roma. Le sue conoscenze dei prodotti e delle materie prime sono notevoli, a proposito di pesci e pescatori disquisendo della bontà del pesce afferma: "credo che a loro [ai pescatori] riesca meglio che alli cuochi, percioché il cuoceno in quello instante, che l'hanno preso". Il pesce dei pescatori è migliore di quello dei "cuochi", perché cucinato più fresco. Ma anche la valorizzazione di alcune parti cosiddette meno nobili perché nei suoi menu notiamo una significativa presenza di teste di storione, lo schienale e la moronella, il latte, il fegato e, naturalmente le uova. Oggi, escluse le uova, raramente le troviamo queste parti nelle proposte dai nostri cuochi più o meno creativi. Il pesce è protagonista nei suoi banchetti in maniera determinante ma si presenta il problema della conservazione e il suo trattato: “Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di papa Pio V, divisa in sei libri”, uscito nel 1570, abbonda di riferimenti al pesce salato, disseccato, affumicato, in salamoia, da ricordare che il termine “salume” è riferito al sale e il prodotto era spesso il pesce conservato in quel modo. Assieme alle teste di storione era molto usata la moronella, la pancia dello storione grosso di carne rossiccia e messa sotto sale o lo schienale che è composto da strisce di polpa tolte dal dorso dello storione, salate, seccate e vendute in fasce. Lo Scappi elenca nel suo trattato enciclopedico più di 200 ricette di pesce e allo storione dedica un capitoletto dal titolo “Della statura e della stagione dello storione” dove per statura intende l’importanza che questo pesce ha sulla mensa del principe. Ne descrive le qualità, le parte migliori e come cucinarle, le caratteristiche fisiche, la stagione migliore, da marzo ad agosto, e i luoghi dove il prodotto è eccellente, la Stellata presso Ferrara nel fiume Po perché: “tal pesce di natura va contra l’acqua, & quando è preso nelli gran fiumi è assai meglio che quello preso in mare”. Nel ricettario troviamo 24 ricette di storione all’inizio del “Libro Terzo” detto Quaresimale e poi, sparse nei vari capitoli e menu altre 23 citazioni del nostro pesce. Interessante notare la varietà delle proposte, lesso e stufato (stufare o brasare, Scappi lo dice sottestare un termine napoletano), in minestra e in pottaggio (da potage), in graticola e allo spiedo, fritto, dalla carne di storione il nostro cuoco ne ottiene polpette, cervellate, salsicce, interessante una ricetta dove il cuoco da all’impasto la forma di pera e poi lo cuoce, una sorta di arancino, vi sono anche indicazioni sul modo si usare budelli, il latte e il fegato. Anche Scappi chiama porcelletta gli storioni più piccoli e ne consiglia il modo di cuocerli al meglio il tutto, spesso cosparso di salse, spezie, zucchero o fiori. Grande è la sua conoscenza dei pesci e non confonde il carpione con la carpa come fanno certi suoi colleghi, anzi lo colloca esattamente nel lago di Garda, come a Brescia attribuisce la qualità di certi gamberi d’acqua dolce. Una cucina la sua di grande ingegno da Maestro Martino prende e ripropone, migliorandole, le “frittelle a vento” progenitrici dello gnocco fritto emiliano. Eppoi la pizza, anche le pizze poiché ne propone una decina di versioni una con polpa di piccione detta dai napoletani “pizza di bocca di dama” certo qualcuna è dolce a base di datteri, pinoli e zucchero (d’altronde vi ricordate la pizza napoletana di Artusi?), altre sono a forma di tortiglione arrotolato come una ciambella, altre ancora a strati come la sfoglia, vi sono anche la pizza fritta e quella piatta al forno. L’autore rivela anche la sua predilezione per le marinate e per i cibi stufati o cotti a bagnomaria nonché per le paste, di cui offre oltre duecento differenti versioni ivi compreso uno dei più antichi esemplari di pasta sfoglia. Inoltre, primo fra i cuochi europei, si addentra fra i meandri dell’arte araba della pasticceria. Molto importanti le tavole poste alla fine del libro che mostrano l’interno e l’esterno delle cucina del tempo e gli strumenti da lavoro dei cuochi delle case nobili, strumenti che sono stati in uso per secoli, tant’è vero che nella reggia di Caserta furono trovate le suppellettili di cucina di Maria Luigia di Parma molto simili a quelle disegnate da Scappi. Il 13 aprile 1577 muore a Roma. Il giorno dopo viene sepolto nella chiesa dei cuochi, dei SS. Vincenzo e Anastasio alla Regola, sede della Compagnia dei Cuochi e Pasticcieri della quale faceva parte.
Nelle immagini: un banchetto a Ferrara, Messisbugo. Banchetti. Scappi, Opera, cuochi al lavoro.