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giovedì 22 ottobre 2020

Pellegrino Artusi 200 anni 

        Era il 4 agosto del 1820 quando a Forlimpopoli nasceva Pellegrino Artusi. Nato da una famiglia di commercianti, una famiglia numerosa composta da 13 figli. La loro casa era situata nella piazza di Forlimpopoli di fronte alla Rocca albornoziana. I suoi studi furono limitati perché il padre non credeva necessari molti studi per fare il negoziante e di questo Pellegrino si lamentò in futuro, quando emerse la sua voglia di conoscenza e di cultura. Abitò nella città natale fino al 1851 quando la famiglia decise di trasferirsi a Firenze dopo l’incursione e il dramma subito dalla famiglia a causa dell’incursione a Forlimpopoli di Stefano Pelloni detto il “passatore”. Il bandito la sera del 25 gennaio del 1851 irruppe nel teatro cittadino e rapinò i presenti, violentò le donne e, con un sotterfugio entrarono nella abitazione degli Artusi e li rapinarono ferirono una sorella di Pellegrino e un’altra, Gertrude fu violentata e in seguito impazzì tanto da morire nel manicomio di Pesaro. Questo personaggio, il passatore, entrò nella memoria collettiva come un eroe, romagnoli come Arnaldo Fusinato e Giovanni Pascoli, quest’ultimo lo chiamò: “passator cortese”, cantanti (Quartetto Cetra, Max Arduini, Massimo Bubola e Raoul Casadei) per giungere all’Ente Tutela Vini Romagnoli che ne fa il logo ufficiale dei vini locali, mai visto niente di più aberrante! Pelloni verrà ucciso nel marzo 1851 dalle guardie pontificie. 

        Con il trasferimento, in realtà prima a Livorno poi a Firenze la famiglia Artusi si arricchisce con il commercio dei bachi da seta e un banco di cambio tanto da accumulare una fortuna. Pellegrino poco prima del 1870 decide di ritirarsi a vita privata e di dedicarsi alla sua passione: i classici, scriverà pochi anni dopo una vita di Foscolo e un commento a 30 lettere di Giuseppe Giusti. Questi lavori passarono inosservati e allora Artusi pensa di mettere a frutto le sue conoscenze della cucina del tempo, che conosce bene attraverso i numerosi viaggi nell’Italia del tempo, viaggi che utilizzavano spesso la carrozza e il treno, da pochi decenni messo su rotaia: la prima tratta è Napoli-Portici del 1839 la seconda Milano-Monza del 1840. I limiti della sua escursione sul territorio sono i mezzi di trasporto dell’epoca e una conoscenza limitata per alcune regioni italiane. Il coraggio di Artusi è facilitato dalla sua borsa di denari e dalla rete di conoscenze intrecciate in anni di commercio, ad aiutarlo due domestici: il cuoco Francesco Ruffilli e la governante Marietta Sabatini, quest’ultima figura dominante in casa Artusi e proprio ai suoi domestici lascerà in eredità i diritti sul libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Dopo aver ricevuto parecchi rifiuti da parte di editori dell’epoca Artusi decide di pubblicare il libro a sue spese affidandosi allo stampatore Landi di Firenze. Furono mille copie, una ad una inviate ai richiedenti per posta dallo stesso Artusi. Il successo tardò a venire ma Artusi non si diede per vinto e il primo spintone lo riceve da un famoso medico del tempo: Paolo Mantegazza che scrive all’autore: “Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni.”. Pochi anni prima un famoso letterato contemporaneo, il bibliotecario dell’Università di Bologna, Olindo Guerrini, aveva tenuto una conferenza “La tavola e la cucina nei secoli XIV e XV” dove rivendicava al cibo l’importanza che i medici del tempo negavano: 

Il Pananti dice: 

“Tutte le società, tutte le feste
Cominciano e finiscono in pappate,
E prima che s’accomodin le teste
Voglion esser le pance accomodate.
I preti che non son dei meno accorti,
Fan dieci miglia per un desinare.
O che si faccia l’uffizio dei morti,
O la festa del santo titolare,
Se non c’è dopo la sua pappatoria
Il salmo non finisce con la gloria”. 

Che fa il paio con: 

“…Sapete voi perché l’aspra battaglia 
di Troia piace, e piace l’Odissea? 
Perché ogni po’ si stende la tovaglia; 
perché Ulisse e quegli altri a tempo e loco 
sanno farla da eroe come da coco”. 

E una “frustata” sarà data dall’autore stesso: Il mondo ipocrita non vuoi dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio. 

        Ma il libro dell’Artusi ha anche altre caratteristiche: un linguaggio accattivante e non noioso, le ricette precise e provate, un impianto esemplare nella suddivisione delle portate tanto che nel dizionario di Alfredo Panzini del 1905 vi si trova questo commento: 

“Artusi: per antonomasia libro di cucina. Che gloria! Il libro che diventa nome! A quanti letterati toccò ma Artusi tale sorte? Era l’Artusi di Forlimpopoli… cuoco, bizzarro, caro signore, e molto benefico, come dimostrò nel suo testamento, e il suo trattato è scritto in buon italiano. E non era letterato né professore”. 

Olindo Guerrini scrive all’amico Pellegrino: 

“Benedetto l'Artusi! È un coro questo, un coro che le viene di Romagna, dove ho predicato con vero entusiasmo il suo volume. Da ogni parte me ne vennero elogi. Un mio caro parente mi scriveva: “Finalmente abbiamo un libro di cucina e non di cannibalismo, perché tutti gli altri dicono: prendete il vostro fegato, tagliatelo a fette, ecc.” e mi ringraziava”. 

Più recentemente una studiosa della Crusca commenta il lessico artusiano: 

È al livello del lessico e della sintassi che meglio si può cogliere la ricchezza, la vivacità, la naturalezza del linguaggio di Artusi: pronto a recepire il patrimonio vivo della sua città di elezione con orecchio attento e partecipe, ma anche a conoscere la profondità della lingua grazie allo studio della tradizione letteraria. (Giovanna Frosini, Accademia della Crusca, 2009) 

        Il libro comincia a diffondersi capillarmente e questo provoca anche una serie di osservazioni, sollecitate proprio dall’Artusi, ne consegue una fitta corrispondenza e numerose ricette verranno pubblicate nelle successive edizioni. Fa molto rumore in Emilia l’assenza degli anolini parmigiani vanto della città, l’Artusi vi rimedia con la pubblicazione di una ricetta ricevuta da una signora parmigiana risiedente a Milano, li apprezza ma non ne comprende l’uso del vino messo nel coperchio e suggerisce di utilizzare la carne, dopo otto ore di cottura, come secondo piatto. Occorre ricordare che le pubblicazioni in commercio a quel tempo non sono all’altezza della cucina descritta dall’Artusi, e la cucina italiana, nel suo insieme pressoché ignorata. Bisognerà attendere il 1905 perché lo storico e geografo della cucina Alberto Cougnet, a conclusione del suo viaggio gastronomico nei cinque continenti (Il ventre dei popoli. Saggi di cucine etniche e nazionali), stenda un corposo capitolo su “La cucina e la cantina italiana”: capitolo che fornisce un quadro completo e particolareggiato del patrimonio gastronomico regionale e municipale. Non c’è piatto canonico che non venga menzionato, corredato da una più o meno sintetica descrizione della pietanza e dalla sua denominazione dialettale. La costituzione delle cucine locali italiane è, insomma, un fatto compiuto. Di lì a poco, nel 1909, verrà data alle stampe “La nuova cucina delle specialità regionali“ appositamente compilata da Vittorio Agnetti, che è la prima raccolta organica di ricette di tutte (o quasi) le regioni d’Italia, dal Piemonte alle tre Venezie, dal Lazio alla Sardegna. La trascrizione delle ricette, da fonti in gran parte orali, è esemplare. Se non è il primo a pubblicare ricette di piatti regionali, Agnetti è tuttavia il primo a progettare e a compilare una raccolta comprendente, con poche e non gravi eccezioni, tutte le regioni italiane. Il suo libro è davvero, in tal senso, “un’autentica novità nel campo gastronomico”, ed è perfettamente legittimo che l’autore tenga a sottolinearlo. 

        Artusi viene a mancare il 30 marzo 1911 dopo aver curato la sua 15ª edizione, le ricette da 475 sono giunte a 790 ma in realtà sono molte di più poiché l’autore infila tra le ricette anche molti consigli di varianti alle stesse. Di sicuro in questo libro emerge la personalità dell’autore, il ricettario è rivolto alla classe borghese che, anche in Italia, era emergente, Artusi stesso vi appartiene e usa lo stesso linguaggio qualche volta è un po' moralista: non pubblica la ricetta della Pinza perché spinge, a suo dire, al consumo del vino; il baccalà è poco adatto alle signore che ne sentono malvolentieri il puzzo; il cacimperio (la fonduta) non gli aggrada, chissà se avesse conosciuto il cazzimperio (il pinzimonio dei meridionali) come l’avrebbe commentato. Altre volte dimostra scarsa conoscenza delle abitudini di alcune zone: la brandade de morue, piatto nizzardo, è preparato anche in Liguria con il termine, aborrito sicuramente dall’Artusi, brandacujun. Mentre altri prodotti li promuove dopo averne apprezzate le qualità come i petonciani, le melanzane, che fino ad allora “erano tenute a vile”. Alcune ricette sono un po' improvvisate come i crostini di caviale con le acciughe, la maionese con un tuorlo cotto, perché si rassodi. Il cacciucco gli dà modo di sostenere la diffusione della lingua italiana poco conosciuta a differenza dei dialetti tanto che le zuppe di pesce come il cacciucco altrove si chiamino brodetti. Un po' di superficialità nel percorrere alcuni territori lo dimostrano la pizza napoletana in forma di dolce, anche se pare avesse intenzione di aggiungere quella a tutti conosciuta a base di mozzarella, incomprensibile anche la presenza del cuscussù (conosciuto a Livorno in un famiglia ebraica) e l’assenza pressoché totale dei piatti liguri. 

Non mancano spiritosaggini ironiche come quella che troviamo nella ricetta degli gnocchi alla romana (fatti con la farina bianca) e commentati così: “spero vi piaceranno, come sono piaciuti a quelli cui li ho imbanditi. Se ciò avviene fate un brindisi alla mia salute se sarò vivo, o mandatemi un requiescat se sarò andato a rincalzare i cavoli”. In alcuni casi è fin troppo zelante nelle varianti da fargli pubblicare ben tre ricette del risotto alla milanese. Alcune ricette sono pietre miliari della gastronomia anche se oggi un po' ignorate come il cappone in vescica, il vitello tonnato (senza maionese), la bavarese lombarda antesignana del tiramisù. Non mancano neppure consigli pratici come quello di aggiungere la trementina nel vaso da notte per eliminare il puzzo di urina dopo aver mangiato gli asparagi. Interessante il consiglio per sostituire l’uva passa con l’uva romanina antica varietà romagnola. Il suo tributo a Marietta Sabatini è nella pubblicazione della ricetta del Panettone Marietta al posto del più banale panettone alla milanese, non una ricetta esemplare ma affettiva perché: “sotto rozze maniere e tratti umili, stanno spesso i bei cuori e i sensi puri”. 

Scrive un ammiratore anonimo di Portoferraio il 14 luglio del 1906: 

“Della salute è questo il breviario, 
L’apoteosi è qui della papilla: 
L’uom mercé sua può viver centenario 
Centellando la vita a stilla a stilla. 
Il solo gaudio uman (gli altri son giuochi) 
Dio lo commise alla virtù de’ cuochi; 
Onde sé stesso ogni infelice accusi 
Che non ha in casa il libro dell’Artusi; 
E dieci volte un asino si chiami 
Se a mente non ne sa tutti i dettami”. 

Il successo è grande da far dire a Prezzolini dall’America: 

“Dammi l’Artusi”. “Cercalo nell’Artusi”. “Cosa Dice l’Artusi?”. L’opera dell’Artusi è un’ autorità e un classico… È un libro unico, un capolavoro, apparso inspiegabilmente nella maturità di una vita dedita ad altri scopi, illuminato da un’ispirazione che pare quasi come grazia divina, come “Pinocchio” di Collodi". (Giuseppe Prezzolini, 1958) 

Ma questo libro è ancora utile oggi? Molti, specialmente quelli che non l’hanno letto, sostengono che sa di stantio, le ricette sono grevi, superate, andrebbero riviste e riscritte, trattando l’opera artusiana come un testo di ricette odierne delle varie “maestre” e conduttrici televisive. 

        A conclusione qualche commento e la preghiera di leggere questo importante libro magari nella versione commentata da Alberto Capatti, del 2011 della BUR, il più grande conoscitore di Pellegrino Artusi, è disponibile anche un PDF gratuito sul sito di CasArtusi. 

“Un ricettario è utile perché detta la cucina a chi la ignora, e perché rieduca chi ne ha dimenticato o ridotto l’esercizio. I documenti del passato servono oggi ad arricchire il presente, integrandolo con l’esempio, e, risvegliando la memoria, trasformano il modo non solo di fare, ma di immaginare il cibo”. (Alberto Capatti, 2010) 

“L’Artusi ci ha aperto la strada per conoscere noi stessi e la nostra nazione, un cucchiaio alla volta. Ora tocca a noi prendere in mano il nostro futuro culinario. Basta aprire il libro: approfonditelo e lo scoprirete ancora pieno di sorprese”. (Massimo Bottura, 2011) 

“Non affrettiamoci a “rivisitarlo”, deprecabile esercizio che solitamente nasconde l’incapacità di confrontarsi con la personalità altrui. Proviamo a prenderlo alla lettera, scopriremo che, in molti casi, funziona ancora”. (Massimo Montanari, 2010)

Sotto: Artusi, Olindo Guerrini, la casa natale di Artusi, 
Festa Artusiana, la prima edizione del libro, l’edizione a cura di Alberto Capatti, cartolina e francobollo commemorativi bicentenario nascita.





























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