La polenta dei bresciani
Approfittiamo
di queste, ultime speriamo, giornate freddine per scaldarci con quell’impasto
che da alcuni secoli imperversa sulle nostre tavole: la polenta. Dal ‘600
quando le nostre genti capirono che questo alimento poteva sopperire alle
carenze alimentari quotidiane, tutti i giorni, mattina e sera, fu polenta.
Poeti e medici furono portatori sani di questo manicaretto, poesie, canzoni,
consigli e ricette, riempirono le nostre dispense e dei nostri vicini
soprattutto veneti, ma non solo, poiché tutto l’arco alpino ne fu invaso. Nacque
prima il sostantivo, che la ricetta odierna, come ci ricorda Agostino Gallo nel
1569 con questo recipe:
“Vi prego
Scaltrito mio che mi diciate l’ordine che si tiene nel fare questa polenta.
[…] A farne per
tre persone si piglia tre libre fin quattro di farina di miglio per la mattina,
ed altrettanta per la sera (lasciando sempre quella di frumento per non far
così buona polenta, ed anco perché si digerisce facilmente) ponendola nel
caldarino che bolle al fuoco con cinque o sei libre d’acqua; facendovi due
tagli in croce con un bastone, acciocché ella maggiormente possa passare la
farina sino in cima, lasciandola poi bollire finché si gonfia, e si distacca
dal fondo…”
Ecco
alcune poesie celebri, Antonio Buccelleni emulo di Cesare Arici e come lui
traduttore dell’Eneide:
… La manca stringe
del paiuolo il curvo
Ferreo sostegno;
indi la destra afferra
Ramo rimondo e
schietto, e la tenace
Pasta convolge, e
la rovescia, e preme
Alle pareti
dell’ignito vaso
Insin che pura
esca la canna; e tolta
D’insù la brage e
capovolta versa
In bianco lino la
ritonda massa.
Agostino
Basco, 1801:
“Canto
la gloria della gran Polenta
(Messiù, Madam, Nobiltà riverita)
Canto la gloria della gran Polenta
Pietanza eccellentissima squisita,
Ch’empie la panza, e ognun sazia e contenta,
Che ognun ne ingolla, e léccasi le dita;
Delle pietanze Domina e Regina
Fatta al foco, con sal, acqua e farina…”
(Messiù, Madam, Nobiltà riverita)
Canto la gloria della gran Polenta
Pietanza eccellentissima squisita,
Ch’empie la panza, e ognun sazia e contenta,
Che ognun ne ingolla, e léccasi le dita;
Delle pietanze Domina e Regina
Fatta al foco, con sal, acqua e farina…”
Elogio
della polenta di Clemente Bondi poeta parmigiano:
“Cresce nei nostri
campi un seme eletto,
che grosso e lungo
ha il gambo, ampia la fronda;
dal paese natìo
“granturco” è detto,
e mette al maturar
pannocchia bionda…”
E
infine, La Canzone della Polenta, musica di Luigi Denza, che definisce il
territorio di appartenenza:
¯Un bel dì fra
l’Oglio e il Brenta
saltò
fuori una polenta¯
Tutto
bene, no! L’assenza, spesso o quasi sempre, di accompagnamento (verdure,
formaggi, carni) favorisce la pellagra, una grave malattia da carenza
vitaminica e proteica. Numerosissimi furono gli studi sull’improvvisa malattia
e alcuni notarono come in America questa malattia non esistesse: qual era il
punto? Dove stava l’errore? La risposta arrivò quando la malattia comparve, ai
primi del Novecento, anche in America e si comprese che la causa era stata
l’introduzione di macchinari moderni che raffinano i semi e distruggono le
vitamine del chicco, il che non succedeva usando l’antichissimo metodo dei
nativi americani “entre dos piedras” (tra due pietre) usato fino allora.
Oggi per fortuna la polenta è solo l’indispensabile accompagnamento di alcuni
piatti bresciani come spiedi e arrosti; umidi, brasati e stracotti; baccalà;
salmì vari; tinche e altri pesci ripieni; ai bambini piace versare il latte
freddo nel paiolo con i residui della polenta appena fatta; gli adulti invece
racchiudono all’interno della polenta pezzetti di formaggio grasso bianco o
verde, formano una palla (la balòta) e la mettono sulla graticola finché i
formaggi racchiusi all’interno non siano ben caldi e sciolti, quindi la
dividono a metà e la portano in tavola. Con la polenta si sono inventate
ricette di ogni genere chiamandole “pasticci”, dato che gli ingredienti variano
a seconda degli avanzi di cucina o della fantasia della cuoca. La base è sempre
la polenta avanzata e tagliata a fettine più o meno spesse; i condimenti sono,
di volta in volta:
• ciccioli di maiale (grèppole) • salumi, lardo e formaggi• strati di stracchino e prosciutto cotto• strati di funghi al burro e rigaglie di pollame• besciamella, funghi trifolati, formaggio nostrano
Sul
tipo di farina da usare, è bene rispettare le consuetudini dei territori che
manifestano tradizioni diverse tra loro. Qualcuno preferisce la farina
cosiddetta “bramata” (lo trovate scritto sul sacchetto) molata un po’ grossa.
Altri preferiscono il “fioretto”, macinata fine, altri ancora mescolano tra
loro le due farine. In alcune località si usa aggiungere alla farina gialla un
pugno di farina di grano saraceno. Sta tornando in auge anche l’uso di farine
integrali, macinate a pietra e di mais selezionati, di mais antichi. Insomma,
la polenta è ancora protagonista del pranzo.
Con la polenta potete esercitare la
fantasia o approfondire la tradizione di polente taragne o tiragne,
pasticciate, fare degli gnocchi, dei nidi di polenta con uova e funghi, insomma
da piatto quotidiano e un po' forzato a una prelibatezza, ma ricordate:
Per fare
una polenta come si deve, occorrono le modalità e gli arnesi di un tempo, poi
acqua salata, farina di mais e l’ingrediente principale: l’olio di gomito.
Di seguito: il paiolo, la polenta appena fatta, la balota ripiena, la polenta pasticciata
Di seguito: il paiolo, la polenta appena fatta, la balota ripiena, la polenta pasticciata
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